Poi dici perché mi hanno chiamata Russian. Perché la realtà di tutto questo è che io ho fatto i primi 13 match senza sapere una virgola di pugilato. Ti reggi in piedi e ancora meni? Ancora la cattiveria? E quello è il DNA, la genetica
The Story
Io sono Maria Cecchi, ho 25 anni. Sono nata a Roma da padre italiano e madre russa.
Mia mamma, come tutti i russi, è un personaggio abbastanza eccentrico. Non mi adattava in nessun modo agli altri ragazzini. Poi magari chiamalo “errore”, chiamala “cosa positiva”, però mi mandava a scuola magari vestita tutta leopardata e io mi vergognavo un sacco.
Io sono andata alla scuola pubblica dove incontravi anche ragazzini di altre nazionalità. Però tendenzialmente la mentalità era quella… Cioè un milione di volte, io che sono nata a Roma, che mi chiamo Maria Francesca Cecchi mi sono dovuta sentir dire “extracomunitaria di merda, immigrata, sei venuta col gommone”, anche se non vedo una via marittima tra la Russia e l’Italia.
Questo stigma si può vedere solamente in un contesto: un quartiere di gente benpensante, un quartiere di gente cresciuta in una certa maniera. Quando mi dicono che ho avuto un'infanzia difficile, io gli rispondo che la mia infanzia me la sono sempre vissuta come normale, come tranquilla. Era complicata rispetto alla loro, ma dal mio punto di vista loro stavano peggio di me, vivendo in un contesto pieno di pregiudizi, dove non sei realmente libero.
Poi me ne sono andata per i fatti miei, se non te lo dicevo io non lo sapevi che ero russa. Non vedevi mia madre. E poi non sono la stereotipo della donna russa: alta, bionda, wow.
Dopo è venuta fuori di nuovo la Russia, con il pugilato.
Ho iniziato a vent’anni, da subito con incontri e match. Il primo match nel 2015. Vinto tranquillamente.
Poi dici perché mi hanno chiamata Russian. Perché la realtà di tutto questo è che io ho fatto i primi 13 match senza sapere una virgola di pugilato. Ti reggi in piedi e ancora meni? Ancora la cattiveria? E quello è il DNA, la genetica. Quella poi è mia madre...è cultura... In Russia non te le prendi le botte, sennò prendi il resto.
Non sapevo fare assolutamente nulla, nessuno mi ha insegnato niente. Perché per me prendere i pugni in faccia non era un problema. L'importante era ridarteli, l'importante era vincere, l'importante era andare a casa che non avevo perso.
Per me il pugilato era diventata un’ossessione, tutto il resto mi faceva schifo, non mi piaceva nulla in quel periodo della mia vita, mi sono dedicata al 100% a questo sport. Vinco, vinco, rivinco. Arriva, sei mesi dopo, la prima sconfitta. E in quel momento capisco che c'era qualcosa che non andava nel mio studiare e fare pugilato.
Io ho al 100% una mentalità russa. Mi manca solo qualcosina. La loro disciplina: io sono un po' troppo impulsiva, un po' troppo testa calda. Faccio solo quello che mi va di fare.
Però in questi anni ho lavorato sul pugilato e su me stessa da persona umile. Ho ricominciato da capo, come una persona che deve imparare a fare le cose per la prima volta.
E ancora mi sento così: come una persona che sta imparando.