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Il senso di riscatto personalmente lo sento molto urgente e perché è lì, secondo me, che posso realizzare pienamente me stessa.

The Story

Ciao, sono Kim e ho 25 anni e sono italo-filippina. Sono nata Roma, al Gemelli, e questo lo dico sempre per sottolineare la mia identità romana nonché italiana.

Io sono tra quelle persone che hanno vissuto l'esperienza migratoria in modo passivo, non attivo. Infatti ogni volta che mi si chiede “ti sei sposata?”, io dico “sì, mi sono alleata e ho migrato dal contesto originale dei miei genitori fino a arrivare al mio contesto che è un po' più libero, meno vincolato”.

La proposta della convivenza non c'è mai stata. Mai mi sono permessa di dire a mia madre “mamma il prossimo mese faccio le valigie e me ne vado”. No, non sia mai. Io la chiamo via dell'emancipazione in modo legale, non attraverso una rivoluzione, non attraverso un evento inaspettato per chi detiene il potere, in questo caso i miei genitori. Questo perché nella cultura filippina, e forse in altre culture minoritarie qua in Italia, c'è una sorta di educazione al rispetto. Di conseguenza io sono cresciuta con questo concetto: chi ha un'età maggiore della tua automaticamente ha più esperienze ed è più saggio. Anche a livello linguistico, per esempio quando parli con una persona più grande di te, alla fine della frase aggiungi la particella “po”. Quindi fai “ciao po”, “come stai,po?”, “io sto bene po”.

Il senso di riscatto personalmente lo sento molto urgente e perché è lì, secondo me, che posso realizzare pienamente me stessa.

Quando mi si dice “tu ti senti più vicina alla cultura italiana o cultura filippina?”. Penso sempre alle parole di Pasolini quando scrisse le Lettere luterane, cioè, la cultura è quell'insieme di norme scritte e soprattutto non scritte, che ti danno la visione del mondo e di conseguenza orientano il tuo comportamento. Io sono stata immersa nella cultura filippina, nel micromondo della mia famiglia, fatto da tempi lenti, severi, rigidi. E poi il macromondo, quello fuori dalla soglia di casa, quello italiano: con l’università e con la gente che ha una percezione diversa di libertà, di emancipazione.

Credo sia questo che mi ha portato a non dare per scontato né l'una e né l'altra. Cioè, è vero che nella comunità filippina è difficile autodeterminarsi, perché gli stessi tuoi connazionali e compaesani hanno questa maniera di concepire la vita: studia, sposati, lavora, fai casa. Però poi si mischia con quell’altra... l’altro pezzo della mia identità, che è anche italiana, che va controcorrente, che ascolta Piotta e Giorgio Gaber.

Quindi è un bel casino. Però questo casino, questo groviglio, ti permette anche di avere un’esperienza più analitica delle cose.

Come questa cosa che noi figli della prima generazione siamo italo-x: italo-filippini, italo-ghanesi, ecc. I nostri genitori invece sono solo perennemente filippini, stranieri residenti in Italia. Mia madre è diventata italiana in qualche modo, però non è concepita dalla mentalità comune come persona che può divenire qualcos’altro. E qui arriviamo anche alla responsabilità di noi figli con retroterra migratorio, perché anche attraverso di noi e con loro, c'è un percorso collettivo per reclamare diritti e tutele. 

Noi lo facciamo per loro, lo facciamo con loro. 

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MARIA
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